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— IN CONVERSAZIONE CON GABRIELE ROSATI + GIULIA PARENTI

Un giovane fotografo, Gabriele Rosati, e una giovane stylist, Giulia Parenti, si raccontano a Peruffo Journal in occasione dell’uscita del loro ultimo progetto: Archivio di Persone. Un racconto fatto di volti e storie a corollario di Ink_Capsule 1, ultima capsule di Peruffo Jewelry.

 

In che modo senti di esprimerti completamente?

Gabriele Rosati: Lavorando. Ricercando, lavorando e parlando. Ecco, credo che questi siano per me i metodi con cui riesco meglio a esprimermi. È un miscuglio di necessità che non deriva da un bisogno estetico o solo dimostrativo, ma piuttosto è un’urgenza che deriva da qualcosa di estremamente intimo, personale, quasi privato, che pulsa e mi spinge a fare. È una delle cose che mi fa davvero sentire vivo.

Giulia Parenti: Le immagini sono lo strumento che da sempre rendono più facile per me il potermi esprimere, le ho sempre trovate più esaustive delle parole.

 

Se dovessi scegliere un simbolo per rappresentarti, quale sarebbe?

GR: Il cielo.

 

Se potessi sovvertire le regole, potendo farlo, quale regola infrangeresti?

GR: Sicuramente vorrei poter andare ovunque. Senza avere paura. Mai. E poi poter fumare nei locali. In tutti i locali.

GP: Sicuramente più che sovvertire vere e proprie regole, mi piacerebbe avere il potere di ribaltare certe dinamiche imposte dalla società rispetto a tanti argomenti, e barriere. Ci sono ancora troppi preconcetti da distruggere.

 

Che cos’è la materia per te?

GR: Un quadro di Modigliani.

 

Il tuo progetto di maggior successo e il tuo modo personale di progettare.

GR: “Ventidue Agosto”, il mio progetto di tesi. Non credo sia una questione di successo, ma sicuramente è quello dove ho dato tutto. Dove ho scoperto me stesso e ho parlato dell’esigenza di dire, senza urlare. Di me e mia mamma. Della mia omosessualità.
Sono una persona che ricerca tantissimo. Sto giorni e giorni a guardare, a cercare, a provare a trovare un qualcosa che mi stimoli, un qualcosa che non conosco o che mi intrighi sapere.
Adoro collezionare. Anche samples di immagini o prove che ho fatto e che rimangono a sé stanti, non appartenenti a progetti, ma che in qualche modo mi affascinano. Poi magari dopo mesi le butto via perché ho trovato o fatto qualcosa che mi affascina ancora di più.
(Ho 56 cartoline di vecchie famiglie italiane che ho raccolto nei banchetti di tutta Italia. Mi piace immaginare di chi possano essere state, e che “viaggio di mani” abbiano fatto per arrivare fino a li.)

GP: Non so dire con esattezza quale sia il mio progetto di maggior successo, forse ancora devo farlo! Penso però di non avere un modo standard con cui progetto ogni volta, perché ogni volta è diverso e nuovo, ogni progetto è diverso e nasce da un bisogno differente rispetto a quello precedente.

 

Riguardo ad Archivio di Persone, lo shooting che hai realizzato per Peruffo, da dove hai preso ispirazione?

GR: Semplicemente da noi, noi persone. Quelle con cui cresci. Dalla bellezza del normale, del quotidiano, di quello che c’è attorno a noi. Dal mio piccolissimo paese di campagna.

GP: Questo progetto è partito in primo luogo da Gabriele che mi ha coinvolta nella sua idea di creare un “Archivio di Persone”, trovandomi poi assolutamente presa dal tema. È stato molto stimolante svilupparlo insieme, e il processo è stato spontaneo. Dalla ricerca visiva al casting (parte fondamentale). L’ispirazione devo dire che è partita proprio dalle persone stesse, ogni volta che sceglievamo una persona per un “ruolo” si apriva un altro mondo ancora e così via.

 

Come mai la scelta di mostrare un “archivio umano”?

GR: Ho sempre trovato la parola archivio bellissima. Accostandola all’aggettivo umano mi ha trasferito esattamente quella sensazione di raccogliere, mantenere e prendersi cura di un qualcosa di prezioso. E tutte quelle persone lo sono. In un modo o nell’altro.
È stato un modo per rendere grazie a tutte loro. Amo la dignità che ogni faccia porta con sé nel progetto.

GP: Poter creare una sorta di raccolta di persone vere unite in questo caso solo da un gioiello indossato, è stato molto interessante come esercizio, anche di lettura dell’immagine dell’oggetto in questo caso. La raccolta ha fatto sì che il gioiello assumesse forme e linguaggi diversi, lo stesso gioiello indossato da una bambina di 8 anni cambia significato se indossato da un uomo di mezza età? Sì, o forse no.

 

Il progetto sarà modulato in differenti categorie, come mai?

GR: Per dare dinamismo. A livello di storytelling ci piaceva che ogni “sezione” fosse intersecata con l’altra ma allo stesso tempo potessero essere autonome. Abbiamo provato a creare un modulo tramite cui il pubblico potesse percepire la storia e il prodotto, ma allo stesso tempo potesse scegliere o l’uno o l’altro.

GP: Abbiamo deciso di suddividerlo in 3 macro fasi, che aiutassero il più possibile a esprimere il processo che c’è stato dietro la realizzazione dello shooting, dal confronto tra le diverse tipologie alla catalogazione di esse fino ai macro-focus su i loro dettagli fisici, simboli, tratti del viso ed espressioni.

 

Cosa pensi delle collaborazioni? C’è qualcuno con cui vorresti collaborare?

GR: Il lavoro di gruppo è fondamentale. Per tutti. A livello umano, soprattutto. Una delle artiste di riferimento è Anne Imhof. Poi anche Paul Mpagi Sepuya. Ma la lista è davvero lunghissima.

GP: Le collaborazioni nel campo creativo sono sempre un’opportunità per entrambe le parti; vorrei collaborare veramente con tanti grandi creativi ma anche l’idea di cercare sempre qualcuno di nuovo, emergente come me con cui poter avere uno scambio equo alla pari e magari veramente nuovo è molto più stimolante.

 

Un artista contemporaneo e un designer che pensi siano significativi e perché.

GR: Anne Imhof perché è umana. È vera. Cruda. Critica senza urlare. Accede a quella che è la sfera intima di ognuno di noi. Ti fa chiedere perché. E questo credo sia la cosa più importante per un artista.
Il duo Meier. Poetici e reali. Non li ho mai percepiti come finti. Sono consistenti e maturi. Anche loro provocano sempre una reazione però senza mai strafare. Almeno in me.

GP: Penso che un artista contemporanea come Anne Imhof sia un chiaro esempio di come arte performativa e moda possano intrecciarsi in modo sempre nuovo, sperimentale e mai banale, senza pregiudizi. Da sempre il mio brand preferito in assoluto è Prada, che riesce a creare un equilibrio perfetto tra rigore, minimalismo, arte e moda.

 

Un progetto a breve e lungo termine che vorresti realizzare.

GR: Spero davvero di poter crescere tutto quello che ho. Conoscere sempre di più e non fermarmi mai.

GP: Mi piacerebbe poter creare un progetto personale ben strutturato che si possa continuare nel tempo, aggiornandolo magari o modificandolo ogni volta in corso d’opera, qualcosa di fluido, appunto modificabile attraverso gli anni.

 

Gabriele Rosati
Instagram: @gabrielerosati_ 

Giulia Parenti
Instagram: @giu.rassic