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— IN CONVERSAZIONE CON NATHLIE PROVOSTY

In che modo senti di esprimere più pienamente te stessa?

Non posso assolutamente immaginare come potrebbe presentarsi un sé completamente espresso.
A volte mi sembra di essere estroversa, altre volte disadattata, a volte intuitiva, altre iper-analitica… Cerco di forzare un’espressione dal mio essere nervosa e ambivalente, a volte. Quello della danza è uno spazio in cui mi scateno facilmente, il che significa che in quel momento incarno la perdita di inibizioni. La pittura è diversa, incorpora molti più aspetti del sé. Di conseguenza, ci sono molte oscillazioni nella modalità: a volte l’io è perfettamente a fuoco, altre volte si trova “dissolto” in uno sfogo creativo dell’intelletto, altre volte è nella disciplina di un lavoro manuale, ecc. Non esistono un “vero” o “maggiore” o “completo” qui.

 

Perché hai scelto la pittura?

Per istinto, fin da quando ero molto piccola. Un piacere e un santuario.

 

Se dovessi scegliere un simbolo che ti rappresenti, quale sarebbe?

Camminare scalza in una foresta di conifere in un giorno caldo d’estate, con gli aghi morbidi ed elastici sotto i piedi.
Non è la mia risposta, in verità, suona soltanto bene. Non sono molto per l’essenzializzare.

 

Sovvertire le regole, potendo farlo, quale regola vorresti scardinare?

Penso che la cosa più difficile sia l’essere consapevoli delle regole. Certo, se qualcuno ti sta opprimendo è difficile rimanere inconsapevole. Il giudizio e il controllo del corpo di altre persone devono essere affrontate ogni giorno. Ho letto un articolo di Zadie Smith sul camp, dove lei sosteneva che in tempi in cui le perone non hanno niente – nessuna rappresentazione -, si può ancora camminare per la strada in un modo che esprime la dignità e la richiesta di attenzione, con le anche che si agitano vistosamente; un bel esempio di sovversione delle norme sociali come forma di empowerment…
Penso anche che la tirannia del lavoro dovrebbe essere sovvertita. Che oppressore. Più lavoro come gioco!

 

Il tuo progetto più riuscito e il tuo personale modo di progettare…

Cosa determina il successo?
La tela imponente che ho dipinto nel 2017 intitolata Life of Forms è stata emozionante. Fare questa mostra ora è stato un miracolo, sia per sconvolgimenti personali che per la situazione a Brescia e i fattori di stress per tutti alla Apalazzo Gallery. Anche se Life of Forms è stato una conquista, All Rainbows (la mostra) esplora un livello di vulnerabilità più profondo. Permettere la manipolazione approssimativa dei materiali, che implica uno stato di “riflessione ad alta voce”, con tutte le proprie imperfezioni e i proprio disagi resi visibili, è un sollievo per il pubblico. Un tipo di arte come questa funziona come un meccanismo che garantisce la possibilità di essere come si è ed essere accettati, si ha la sensazione di poter lasciarsi andare e respirare.

 

Cos’è per te la materia?

La luce. Non è forse LA MATERIA?

 

All Rainbows in a Brainstem è il titolo della tua mostra personale da Apalazzo Gallery a Brescia, potresti dirci di più a riguardo?

La mostra aveva come tema il calore, cosa che mi sembrava nuova dato che avevo lavorato con il suono e il movimento e la gravità, ma non così tanto con la temperatura. Il 2020 è stato un anno di fuoco e fiamme, tutto un bruciare, una pira funebre. Le persone hanno sofferto, i loro cari sono morti. Tutte queste perdite spezzano il cuore, sono molto addolorata per loro. E anche se sei stato ragionevolmente fortunato, l’ansia è pesante.
All Rainbows era creata con quadri che andavano dallo spettro del rosso a quello dell’arancio e disegni a inchiostro o carboncino, che sono entrambi materiali derivanti dalla fuliggine.
Ho realizzato anche piccoli disegni a inchiostro raffiguranti dei dragoni, un archetipo che ho tratto da un sogno. I dragoni respirano fuoco; il fuoco simboleggia la purificazione e facilita la trasformazione.

Il titolo della mostra viene da un verso di una poesia di Anne Waldman, scritta poco prima della pandemia. Abbiamo concluso una collaborazione nella primavera del 2020, durante il periodo più intenso della quarantena. Anne è una leggendaria poetessa sperimentale di New York ed è stato quindi un onore e un’ancora di salvezza lavorare con lei. Ho creato un’opera ad acquerello in nove tavole per accompagnare il volume e lei ha, a sua volta, rivisto ed editato le poesie per meglio rispondere ai disegni.

 

Perché il rosso?

Il sangue. Originariamente avevo concepito un gruppo di dipinti verticali rossi che assomigliavano a delle scale, in riferimento a un incidente a cui ho assistito, un uomo che è caduto da una scala e la cui enorme pozza di sangue ho dovuto ripulire. La pulizia del sangue è stata un’esperienza che definirei sacra e che mi ha reso più umile. È successo nell’estate del 2019, ma non sono riuscita ad concretizzare l’idea di quei dipinti fino al momento della pandemia, quando il rosso si è poi andato avvicinando al desiderio dell’intimità della carne.

 

Cosa pensi delle collaborazioni? C’è qualcuno con cui vorresti collaborare?

Sì, le amo. Sono stata una privilegiata per aver lavorato con alcuni musicisti incredibili come Bryce Dessner, e vorrei fare di più con loro. Ma sono sempre impegnati! Vorrei lavorare con il musicista sperimentale newyorchese Gryphon Rue. Adoro la musica di Nicholas Jaar, che vive a Torino. Abbiamo amici in comune e vorrei fare qualcosa con lui, anche se ultimamente ho sentito dire che ha venduto la sua collezione di dischi e ha rinunciato alla sua vita di prima per darsi alla meditazione, cosa che mi sembra una buona mossa per il suo lavoro, probabilmente. Rivoluzione interiore.

Le mie collaborazioni sono sempre arrivate attraverso l’amicizia. E sono onorata di avere degli amici così geniali.

 

Per la tua mostra personale hai lavorato con Anne Waldman, perché una poetessa? Ci puoi dire qualcosa di più sulla collaborazione e sul libro che avete composto insieme, “All Rainbows in a Brainstem / That We Be So Contained”, pubblicato da Hassla Books?

Anne è una leggenda. Ci siamo incontrate a una festa anni fa. Io stavo riportando a New York un gruppo di artisti da una festa nello stato di New York – Dorothea Rockburne, Ron Gorchov, Veronika Shear, e Anne – e abbiamo bucato in autostrada. Dopo quell’avventura la nostra amicizia si è consolidata. I poeti sanno delle cose che il resto di noi non sa. Come disse Baudelaire, per conoscere le novità del mondo, leggo poesia.

 

Un artista contemporaneo e un designer che ritieni significativi e perché.

Il polpo. Perché pensa con il corpo intero e ha un’eccezionale sensibilità per lo spazio, i motivi e il colore.

 

Un progetto a breve e uno a lungo termine che vorresti realizzare.

Beh, sono già al lavoro sul prossimo grande progetto, ma non voglio dirti niente! Perché rovinare la sorpresa?! Ma se questa intervista verrà letta tra un anno, si potranno trovare degli indizi sparsi qua e là…

 

Nathlie Provosty (Cincinnati, OH, 1981), vive e lavora a New York. I suoi lavori pittorici sono stati recentemente in mostra al Santa Barbara Museum of Art (2020), alla American Academy of Arts and Letters, NY (2020), al San Francisco Museum of Modern Art (2019), a alla Kunsthall Stavanger, Norvegia (2018); la sua prima mostra personale in un’istituzione si è tenuta al Museo del Risorgimento di Torino (2018-2019). L’artista è rappresentata nelle collezioni della Albright-Knox Art Gallery (NY), il Baltimore Museum of Art (MD), il San Francisco Museum of Modern of Art (CA), e il Museum of Modern Art (NY), tra molte altre. Nel dicembre 2020 Hassla ha pubblicato un nuovo libro di poesia e immagini creato con la poetessa Anne Waldman: la collaborazione si coordina con la mostra personale di Provosty a APalazzo Gallery di Brescia (Dic 2020 – Mar 2021). Il libro è intitolato All Rainbows in a Brainstem / That We Be So Contained, e contiene opere create durante la pandemia di Covid-19; è il quarto libro dell’artista, e la seconda collaborazione con un poeta di fama (la prima è stata The Color Mill con Robert Kelly nel 2014).

 

Instagram: @nathlie.provosty