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— IN CONVERSAZIONE CON URARA TSUCHIYA

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Urara Tsuchiya è un’artista giapponese che vive a Londra. La sua espressione artistica nasce dalla performance ma, attraverso percorsi inattesi, approda alla ceramica.
Ci racconta di lei e della sua pratica, e della sua residenza a Faenza che, causa lockdown, l’ha portata a vivere in Italia molto più tempo del previsto. Di sicuro sentiremo parlare di lei in futuro…

 

In che modo senti di esprimere più pienamente te stessa?

Non posso dirlo con certezza; mi sembra di essere sempre un po’ controllata! E inoltre devo dire che, in qualche modo, non credo del tutto alla possibilità di una vera espressione di sé stessi…

 

Se dovessi scegliere un simbolo per rappresentarti, quale sarebbe?

Qualcosa come una spugna? Non saprei!

 

Se potessi sovvertire le regole, quale vorresti infrangere?

Il controllo alle frontiere tra diversi paesi!

 

Descrivici il tuo progetto di maggior successo e il tuo personale processo di progettazione.

Non so… Penso che la costruzione dello lo spazio di un bar dove si sono tenuti molti lavori performativi al GI Festival sia stato un vero successo; non per quello che ho fatto ma perché l’avere uno spazio dove molte persone potevano vivere un’esperienza alterata della realtà è stato molto divertente… Vorrei farlo di nuovo e più spesso quando la situazione dettata dal Covid sarà finita.

 

Che cos’è la materia per te?

Qualcosa con cui si può lavorare per esprimere delle idee e che si può trasformare… Mi piacciono le cose molto tattili come i tessuti, l’argilla e i materiali non tradizionali.

 

Dalla performance alla ceramica; potresti spiegarci come mai usi questi media così differenti e cosa rappresentano per te?

Ho studiato arti visive al Goldsmiths College e alla Glasgow School of Art; in Inghilterra conta molto il concetto che sta dietro al lavoro, il medium viene sempre in secondo piano. Io sono sempre stata interessata alla performance e all’attività performativa, la ceramica è uno sviluppo recente.
Mi piace molto la temporalità del lavoro performativo, ma lavorare con la ceramica mi fa sentire più con i piedi per terra perché sei costretta a seguire tutti diversi stadi del processo, non c’è molto spazio per i “capricci”.
Hai l’impressione di avere un lavoro vero e questo ti fa sentire bene…

 

Hai partecipato a un programma di residenza a Faenza e lì sei rimasta bloccata a causa del Covid; ci puoi raccontare qualcosa di questa esperienza e in che modo ciò ha influenzato il tuo lavoro?

Penso che questo abbia reso la mia vita molto semplice; Faenza è una piccola città quindi si va in studio tutti i giorni per 7 ore, si fa una pausa prendendo il caffè al bar e leggendo le email, poi si va a casa e si cena con gli amici e la famiglia. Ho realizzato di non aver bisogno di molte cose per vivere dato che ho vissuto con ciò che era contenuto in una valigia che era stata pensata per un mese. Penso anche che mi abbia fatto concentrare molto…

 

Cosa pensi delle collaborazioni? C’è qualcuno con cui vorresti collaborare?

Adoro le collaborazioni. Le ritengo una questione di amicizia e fiducia, e in fondo mi piace anche soltanto avere compagnia per scambiare idee, e inoltre sono molto interessata al modo in cui gli altri lavorano…
Collaborerò nuovamente con il mio amico Ben Toms e forse creerò un’animazione con Adam Aftanas, mi piacerebbe anche organizzare una mostra insieme al mio vecchio amico artista Paul Kindesley a cui voglio molto bene. Di recente ho stretto amicizia con Thomas Defalco, a Roma; lui si occupa di performance e arazzi, ci piacerebbe fare una mostra insieme l’anno prossimo.

 

Un progetto a breve e lungo termine che vorresti realizzare.

Vorrei fare un film con il mio amico Ben Toms l’anno prossimo, e, sempre per il 2021, sono invitata a una residenza di ceramica in Messico, dove vorrei realizzare lavori più grandi, ispirati al mondo subacqueo. Mi piacerebbe lavorare su diverse storie e poi creare su e con esse un film od opere in ceramica.

 

 

Union Pacific – Urara Tsuchiya
Ada Project – Urara Tsuchiya
instagram: @u.tsuchiya